CAMPANILE DI VAL MONTANAIA: IL RACCONTO

Dopo l’ottimo successo dell’uscita alpinistica del mese di luglio al Gran Paradiso per celebrare i 150 anni di vita del CAI, la nostra sezione può archiviare positivamente anche l’escursione svoltasi nei giorni 07 e 08 settembre, tra le montagne del Friuli, scalando una tra le più belle guglie solitarie delle dolomiti: il Campanile di val Montanaia.

Considerando la fama del Campanile e l’ambiente ancora selvaggio della valle di Cimolais, le premesse per un alto numero di presenze tra i nostri soci c’erano tutte, anche se al ritrovo fissato al sabato presso la sede di via Rocchina per la partenza, ci presentiamo in sole sette “anime”.

Approfittando così del ristretto numero, decidiamo di rinunciare alle comodità del rifugio Pordenone, preferendo affrontare una notte in tenda nei pressi dell’attacco della via per salire il Campanile; la decisione si rivelerà alla fine molto appagante.

Una volta giunti nei pressi del rifugio (dove si parcheggiano le auto), carichi degli zaini pesanti che oltre alle corde ed al materiale di arrampicata contengono anche tende, fornello e generi alimentari di primissima necessità ( vino, salami, formaggio, buste di minestra, grissini e zuccherini sotto spirito), ci incamminiamo lungo il faticoso sentiero disegnato dai numerosi passi, all’interno di un canalone detritico.

In circa due/tre ore siamo ai piedi del Campanile di val Montanaia che si presenta ai nostri occhi come una gigantesca torre di dolomia, al centro di un anfiteatro naturale e contornato da un terreno prativo; in una piccola zona pianeggiante, a poche decine di metri di distanza dal bivacco Perugini piazziamo il nostro “campo base”.

La serata è un po’ fredda e solo il vino e la compagnia riscaldano l’atmosfera; ci organizziamo per la via, prepariamo la minestra e andiamo a rifornirci di acqua per il tè della colazione della mattina seguente. In tarda serata arriva altra gente che monta e bivacca in tenda; si sente un gran vociare e sbirciando fuori dalla tenda per vedere chi si fosse accampato vicino a noi, si rimane impressionati dall’infinita quantità di stelle che riempie un cielo scuro e senza luna.

Arriva il mattino e ci prepariamo per la colazione. Sul fornello facciamo bollire l’acqua per il tè prima e per il caffè poi. Una volta pronti ci incamminiamo in discesa ed in circa mezz’ora siamo all’attacco della parete divisi in due cordate da tre. Luca, Alice ed io partiamo per primi attaccando per rampa gradinata seguita da un breve diedro. Ci seguono Giorgio, Matteo e Matteo a circa un tiro di distanza in modo da non intasare le soste; ci riteniamo fortunati considerando che l’abituale affollamento non c’è, in quanto un paio di cordate hanno attaccato molto prima di noi e dietro non abbiamo più nessuno. All’attacco lasciamo Sabrina che ci aspetterà ai piedi dell’opposto versante di salita, dove ci dovremo calare in corda doppia.

Tiro dopo tiro saliamo senza particolari problemi anche per le difficoltà contenute. A circa metà della via però le nuvole sembrano avanzare e si alza un vento freddo che per una mezz’ore ci dà un po’ di fastidio; dopo la fessura Cozzi (passaggio chiave) affrontiamo un traverso su cengia in piena esposizione molto emozionante. Si torna poi a salire prima per un camino non semplice e poi per gli ultimi tiri che ci portano a raggiungere la cima. Suoniamo la campana, salutiamo Sabrina che ci osserva dal basso, firmiamo il libro di vetta ma ci accorgiamo di aver dimenticato l’adesivo de Ul Picozzon (forse è un segno per indurci a ritornare…). Naturalmente ci concediamo una bella foto di gruppo e poi iniziamo la discesa in doppia, dato che da un po’ il sole si è definitivamente nascosto dietro a nubi che sembrano cariche di pioggia.

Le prime due doppie ci depositano sul cengione che permette di compiere l’intero giro della parte sommitale del campanile a piedi; da qui una calata nel vuoto di circa 45 m ci porta quasi alla base della parete. Un breve pezzo a piedi e poi l’ultima breve ma bella calata, ci deposita nel cuore del canalone ghiaioso e ripido che in poco tempo ci riporta sul sentiero. Scendiamo veloci dal canalone, poi corriamo per un breve tratto in salita verso le nostre tende; inizia a piovere leggermente e così lo smontaggio delle tende avviene in modo abbastanza spartano.

Dopo una breve pausa per mangiare qualcosa, con gli zaini carichi iniziamo la discesa con passo spedito, anche se poco dopo smette di piovere; rallentiamo allora il ritmo per non affaticare le ginocchia. In discesa il clima è allegro ed abbiamo in mente due cose: la splendida via appena percorsa e la meritata pausa al rifugio. Intanto Sabrina ci ha preceduto nella discesa e la troviamo al nostro arrivo seduta ad un tavolo in nostra attesa; una volta posati gli zaini ci sediamo sulle panche ed ecco che arriva il rifugista con due bottiglie di vino, dicendoci: “Queste sono offerte dal Selva! Era qui un paio di settimane fa!”

Lo ringraziamo con un brindisi. Il Valdobbiadene evapora in poco tempo.

Ora ci aspetta un lungo rientro a casa.

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